Il pellegrinaggio a Lourdes

Tre giorni sono scivolati via in fretta, siamo di nuovo a casa ma io con la mente e lo spirito sono ancora ferma a Lourdes. Strano, considerando che il giorno del nostro arrivo per me era stato l’esatto opposto. Quando abbiamo messo piede nel santuario, la giornata era ormai in gran parte trascorsa, dato il viaggio piuttosto lungo. In quel poco tempo rimasto abbiamo aperto la nostra esperienza con una messa, ma ero distratta, poco concentrata, non avevo certo il giusto raccoglimento e l’apertura d’animo per vivere un cammino spirituale. Ero infastidita con me stessa perché non era il modo migliore per iniziare. Pertanto, al termine della celebrazione, ho deciso che andare alla grotta avrebbe sicuramente migliorato le cose. Peccato che scioccamente non avessi considerato che davanti a “quell’angolo di cielo”, come lo chiamava Bernadette, non potevo esserci solo io. Un fiume di gente scorreva ai piedi della statua della Madonna e altrettanta era seduta in preghiera. Tutti in estremo silenzio e raccoglimento, è vero, ma io, che cercavo di trovare il mio deserto interiore, di fronte a tutta quella folla, seppur silenziosa, non ne ero proprio capace. Continuavo a distrarmi, a guardare tutto quel popolo così numeroso; ciò che attraeva la mia attenzione in quel momento era la sofferenza degli ammalati, fisica ed emotiva. Come potevo io pensare di pregare per me stessa, di riempire il buon Dio delle mie chiacchiere, dei miei problemi, dei miei pensieri, quando lì c’era gente che soffriva nel vero senso della parola? L’unica cosa che appariva giusta da fare, era pregare per quelle persone; era l’unico modo per aiutarle. Insomma, un po’ turbata, un po’ perplessa, forse anche un po’ triste perché non era andata come io immaginavo, chiudevo la mia prima giornata a Lourdes.

Sveglia all’alba del secondo giorno per celebrare la messa nella grotta. Gli orari così mattinieri mi spiazzavano, lo confesso, ma in fondo a pensarci bene, qualche piccolo sacrificio doveva pur esserci, se no che pellegrinaggio era? L’aria frizzante aveva provveduto a svegliarmi e a prepararmi a ciò che seguiva: la Via Crucis. Lo scenario suggestivo del verde di una strada di collina in salita, si accostava bene al lungo percorso di sofferenza morte e resurrezione che ci apprestavamo a meditare. Delle statue a dimensione umana illustravano le singole stazioni. È sulla sequenza delle cadute di Gesù che si è soffermato particolarmente il mio pensiero. Nella prima appariva piegato, nella seconda ancor di più, nella terza completamente atterrato e schiacciato dalla croce. Quella stessa croce che il pellegrino di turno portava in testa al gruppo. La sofferenza di Cristo e quella di ciascuno di noi correvano una accanto all’altra, in fondo a dire che Lui un cammino di dolore lo aveva fatto ben prima e ben più di noi. Come potrebbe dunque non comprenderci e non sostenerci? Dovrei ricordarlo sempre. Non avevo ancora finito di riflettere su tutto questo, che già una nuova esperienza era iniziata, senza che neanche me ne rendessi conto. Era il momento di partecipare alla processione eucaristica. Dico “senza rendermene conto” perché non è che avessi riflettuto sull’importanza del momento; ero un po’ vuota un po’ assente, lo ammetto, ma la Madonna ha subito provveduto a richiamare la mia attenzione. Dovevo portare lo stendardo che La raffigurava, alto, imponente, pesante, insomma di rappresentanza, come giusto che fosse. Per la paura di non farcela, la mia serenità era sparita. Trovavo quantomeno bizzarro il fatto che fossi agitata, in un posto, il Santuario, sinonimo di serenità e pace. Eppure stava andando così. E se non ce l’avessi fatta? Il percorso era lungo. “Il Signore cammina con noi”, recitava la preghiera d’inizio della processione. Proprio vero. Il buon Dio aveva mandato un “Cireneo” anche a me che mi aiutasse nel corso della processione. L’aver potuto condividere un momento di difficoltà, mi ha permesso di riflettere non solo sul fatto che il Signore cammina con noi anche quando ci sentiamo persi, ma anche sull’opportunità di condividere i problemi. Al contrario di quanto si possa pensare in una logica personale ed egoistica, ma forse anche umana, perché ad ognuno bastano e avanzano le proprie fatiche, in realtà, avere il coraggio di guardare e partecipare anche in minima parte alla difficoltà dell’altro, non solo alleggerisce chi soffre, ma permette anche di migliorare se stessi. La processione proseguiva e tra un pensiero e l’altro mi chiedevo anche questo: perché il Santissimo non si trovava in testa tutti? Ma come, il Signore dietro e non avanti? Perché lo precedeva una folla di malati di ogni sorta? Non era forse lui il più importante tra tutti? Il mio criterio era quello dell’importanza. Meno male che quello del Signore no. Se fosse partito avanti a tutti, ma come avremmo fatto a pensare che Lui, le nostre sofferenze le vede tutte, ce l’ha sempre tutte ben chiare davanti? La sofferenza è un tema che corre lungo tutto il santuario, a partire dai malati fino ad arrivare ai vari riti. Forse è proprio nella sofferenza, che si ha più modo di incontrare il Signore. Forse, non lo so. E si chiudeva così anche il secondo il giorno con un carico emotivo ben diverso da quello presente in partenza.

Come sarebbe andato il terzo giorno? È iniziato con la messa internazionale. In effetti è un po’ strano ascoltare la messa contemporaneamente in più lingue, ma anche questo fa riflettere. Su cosa? Sull’unione. Al di là di ogni razza, di ogni popolo, che a noi sembra tanto diverso, non solo per lingua, ma anche per abitudini, per modi di vivere e di pensare, in realtà al di là, anzi, al di sopra di tutto questo, c’è sempre lo stesso Dio, al quale siamo tutti uniti dalla stessa identica fede. Ma le emozioni del terzo giorno non erano ancora finite. Mancava ancora l’appuntamento con la fiaccolata serale, che porta in processione per il santuario la statua della Vergine, mentre si recita il Rosario, anche questo in tante lingue diverse. Ognuno ha in mano una candela accesa. Non avevo capito quanti fossimo, anzi in realtà credevo pochi, perché il Santuario è grande e pieno di gente, e in alcuni momenti, soprattutto in quelli in cui la manifestazione si sta organizzando, si crea confusione ed è difficile capire bene. E in effetti, sono stata subito smentita, quando alla prima curva del percorso, ho voltato lo sguardo: una fila lunghissima di lucine si snodava dietro di me. Quanti eravamo? Tanti, troppi, sembrava che il santuario non dovesse più contenerci. Nel momento del canto in onore della Madonna tutte le fiaccole erano portate in alto. Un movimento continuo dal basso verso l’alto. Non era solamente un tributo alla Madonna. Si, era anche quello, ma anche qualcosa di più. Se è vero che Dio è luce, ognuna di quelle fiammelle, rappresentava quella parte di luce, di Dio, che c’è in ciascuno di noi e il movimento verso l’alto è il nostro desiderio di tendere verso di lui. Io l’ho vista così. E con quest’immagine così suggestiva si concludeva il nostro viaggio. Che dire di Lourdes? Come definire quella grotta? Capisco che dall’esterno possa sembrare anche strano: pregare davanti ad una statua posta in una grotta. Eppure da quella grotta non vorresti mai andar via. È un momento che non si può raccontare, va vissuto. Sono convinta che si tratti di un’esperienza in cui, se si è onesti con se stessi, disposti ad ascoltare, e a guardarsi dentro, ciascuno di noi può dire di avere incontrato la Madonna e dunque il Signore in un preciso particolare momento. È questo, al di là dei grandi eventi che pure accadono e raccontano, il vero miracolo che Lourdes compie tutti i giorni in chiunque vada lì.

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